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In un articolo di qualche giorno fa, il sito Vatican Insider, una brillante iniziativa de La Stampa, ha dato la notizia di un boom di conversioni al cristianesimo nella Repubblica Islamica d’Iran. Citando gli studi e le analisi di Open Doors America, una seria e preparata Ong che si occupa dei cristiani perseguitati nel mondo, l’autore dell’articolo Marco Tosatti ha raccontato di giovani iraniani che sentono il richiamo del cristianesimo e cercano di diffonderne il verbo nonostante le censure del regime. Un controllo e una repressione che, come ben notifica l’articolo, stanno aumentando sempre più “grazie” ad arresti e nuovi vincoli imposti alle parrocchie di tutto il Paese.

E’ vero che in Iran si sta assistendo a numerose conversioni al Cristianesimo, ma questi processi hanno nature diverse. I più eclatanti, anche perché si sono conclusi spesso con un arresto, sono i casi dei predicatori che fanno della propria casa un luogo di ritrovo e di diffusione della parola di Cristo. Questi nuovi profeti, attivi soprattutto nella città santa di Mashad e nella terza città più importante dell’Iran, Isfhan, sono tenuti a distanza dalle chiese ufficiali che in Iran hanno diritto di esistere. Un po’ perché fare di un appartamento privato un luogo di culto senza permessi è molto rischioso, ma soprattutto perché questi predicatori hanno ben poco a che vedere con la religione, ma piuttosto utilizzano il Cristianesimo come una “moda” o una delle tante evasioni, come l’alcool o le feste private che gli iraniani si concedono pur di scappare al grigiore delle imposizioni degli Ayatollah. Infatti, così come per l’alcool e per le droghe, esiste un mercato nero di Bibbie che vengono fatte entrare nel Paese di nascosto e poi vendute.

Un altro tipo di conversione è quella più sincera e intima che fa parte del percorso individuale di vita. Non sono pochi i casi di iraniani convertiti convintamente dall’Islam al Cristianesimo (alcuni anche fra i mullah) ma queste persone sono costrette a tenere una doppia identità per vivere la loro fede. Nessuno, tranne il prete o i formatori religiosi e qualche volta la famiglia, è a conoscenza del loro cambiamento. Musulmani in pubblico e cristiani in privato: sicuramente queste persone non organizzeranno mai ritrovi religiosi collettivi nelle loro case.

Some days ago Vatican Insider published an article about some conversion from Islam to Christianity in Iran. Reporting studies and analisys by Open Doors Usa, a serious and well prepared american Ngo that takes care on the persecuted christian communities in the world, the article’s writer, Marco Tosatti, narrow of young iranian people attracted by Christianity who try to spread that, despite regime’s control and captures. A repression and a control growing up “thanks” to the captures and new restriction imposed to the church in all the country.

Indeed, in Iran there are many conversions to the Christianity, but they have different origin. The most striking ones, also because they often finish with a capture, are those about some prophets who transform their houses in a place for spreading the Christ’s verb. Those “new prophet”, working expecially in the holy city of Mashad and in Isfhan, the third most important iranian city, are backed off by the official Church that has right to exist. A cause of this difficult relationship is the risk caused by transforming a private home to a secret place of worship, but overall those preachers are very fair from the Christianity. They use religion as a trend or as one of the distractions, like alcool or drugs or private parties that iranian people get to escape from the sad life imposed by Ayatollah. As for drugs and alcool, a Holy Bibles black market exists in Iran, where Bibles are printed and sell underground.

Another kind of conversion is more sincere and intimate, regarding the own lifetime. There are many examples of iranian people converted from Islam to Christianity (some of them also among mullahs), but they have to keep double identity to live their faith. Anyone but the priest or the relatives knows their change. They are muslims in public and christians in private. Certainly those people will never organize any collective religious happening in their houses.

 

Beirut vive un periodo di tranquillità. Il Libano e la sua capitale si trovano al centro di un’area, il Medio Oriente, che sta attraversando un momento probabilmente decisivo della sua storia. La vicina e sempre presente Siria è scossa da una rivolta che assomiglia sempre più ad una guerra civile, l’Iran è nell’occhio del ciclone per il suo programma nucleare, Israele sta cercando in ogni modo di uscire dal suo isolamento.

A Beirut si parla di tutto questo, ma ancora non si vede. Ogni frase di Hezbollah può spostare equilibri, ogni mossa al confine siriano può generare crisi internazionali. Tutto giace sotto un’apparente imparzialità.  A Beirut si trema. Questo piccolo Paese sa di essere l’ago della bilancia. “Siamo l’unica area in pace adesso. L’Occidente e la Lega Araba ne hanno bisogno. Ma fino a quando?” si chiedono i cittadini di Beirut.

Siamo tornati qui, ci sembra di non aver mai lasciato questa città. La storia va avanti.

In Beirut is a calm period. Lebanon and his capital are in the heart of Middle east, living a time while its history that probably will be decisive. The near and always attendant Syria is shooked by a rebellion always more similar to a civil war; Iran is in trouble because of its nuclear project; Israel is trying to go out of isolation.

Everybody is speaking about that in Beirut. Nobody can’t see those problems. Every Hezbollah’s speech can move the equilibrium, every action near the Syrian border can create international crysis. Everything’s sleeping under an apparent impartiality. Beirut is trembling. This little country knows to be strategical. “This is the only peacefully country now. Western country and Arab League need that. But for how long time still?” Beirut inhabitants thing that.

We went back here, it seems we never left this city. This story goes on.